Legambiente: il classismo e le diseguaglianze che
condizioneranno il futuro di Milano
e che hanno ispirato Sala

Legambiente ha diffuso pochi giorni fa una edizione speciale del dossier Mal’Aria, normalmente pubblicato con cadenza annuale.

Considerando che siamo a ridosso delle elezioni amministrative, che quest’anno si terranno anche in molte delle principali città italiane, comprese Roma, Milano e Torino, lo scopo è palesemente quello di influenzare tali elezioni, promuovendo una linea politica ben precisa e dando il proprio endorsement per le amministrazioni uscenti più in linea con l’agenda patrocinata da Legambiente.

La prova provata è un apprezzamento esplicito al Piano Aria Clima che troviamo proprio nell’ultimo report.
Apprezzamento del tutto fuori luogo in quanto, avendo analizzato pagina per pagina il PAC di Milano (e sono 900 pagine!) abbiamo riscontrato parecchie imprecisioni a livello di rilevazioni ed esposizioni di dati, incongruenze palesi tra diverse analisi svolte da differenti Arpa regionali sul bacino padano.

Questo è un endorsement strettamente POLITICO

Quello che Legambiente definisce un “buon esempio” in realtà è un pessimo esempio che non otterrà nessun risultato apprezzabile in termini di riduzione dell’inquinamento, ma è soltanto una presa di posizione totalmente ideologica contro la mobilità individuale. Sparano con un cannone nella nebbia, inseguendo follie ideologiche che massacreranno l’economia milanese e relegheranno i milanesi in ghetti totalmente privi di servizi.

Legambiente in teoria dovrebbe essere apolitica, come spiegato sul loro stesso sito web:

Siamo un’associazione senza fini di lucro, fatta di cittadini e cittadine che hanno a cuore la tutela dell’ambiente in tutte le sue forme, la qualità della vita, una società più equa, giusta e solidale.
Un grande movimento apartitico fatto di persone che, attraverso il volontariato e la partecipazione diretta, si fanno promotori del cambiamento per un futuro migliore.
Abbiamo fondato la nostra missione sull’am­bientalismo scientifico, raccogliendo dal bas­so migliaia di dati sul nostro ecosistema, che sono alla base di ogni denuncia e proposta

La realtà purtroppo è ben diversa: accumulare un capitale di credibilità presso l’opinione pubblica presentandosi come soggetto apartitico e apolitico interessato solo alla tutela dell’ambiente e poi spenderlo per promuovere una ben precisa agenda politica e le forze politiche che la supportano.

Tutto il contenuto del dossier può venire sintetizzato infatti in un concetto: al paese va imposta quella che viene definita transizione ecologica, e se non lo farà la politica lo faranno le multe miliardarie che l’Unione Europea comminerà all’Italia per non averla messa in atto – usando il presunto perdurare dell’inquinamento atmosferico come motivazione. Del resto tutte le loro teorie si basano su modelli, puntualmente smentiti dai dati reali.

Per farvi capire quanto il progetto Legambiente (30 pagine) sia un misero riassunto del Piano Aria Clima (900 pagine) citiamo alcune fra le misure richieste:

  • Ulteriori drastiche limitazioni alla circolazione veicoli a combustione interna con divieto totale di circolazione per le auto più vecchie di 20 anni.
  • Abbassamento della velocità massima in autostrada
  • Stop progressivo all’uso del gasolio per il riscaldamento
  • Uscita immediata (entro giugno 2022) dal carbone per il riscaldamento e progressivo entro il 2025 per tutti gli altri usi, compreso industriale e termoelettrico
  • Strade a 30 km all’ora, strade scolastiche, smart city, moderazione della velocità (80% strade urbane condivise tra cicli e veicoli a motore), realizzare 5.000 km di ciclovie e corsie ciclabili, sicurezza stradale (vision zero), incentivare la mobilità elettrica condivisa (micro, bici, auto, van e cargo bike) anche nelle periferie e nei centri minori, anche comunitaria o aziendale
  • Obiettivo dell’azzeramento dell’inquinamento per ridurre le diseguaglianze

Sottolineiamo inoltre che la tesi è presentata in modo apodittico: le ragioni per cui tale obiettivo debba essere necessariamente raggiunto non vengono motivate e vengono indicate soluzioni (discutibili) che non ammettono nemmeno la possibilità di prendere in considerazione alternative, non è nemmeno lasciato uno spiraglio ad una eventuale discussione sulle misurazioni, sui metodi di rilevamento, sulle soluzioni da adottare. Il loro è il “verbo” e bisogna crederci con un approccio fideistico. Mai scientifico. Poco importa se ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione
e la Ricerca Ambientale) già nel 2016 aveva forecast sulle fonti di inquinamento completamente diversi. L’ambientalismo politico di Sala e quello di Legambiente sono questione di fede. Dobbiamo crederci.

Siccome una motivazione ultima va presentata per evitare che qualcuno sospetti che essa non esista proprio, è comunque presente un accenno, sotto forma di un’unica frase, all’argomento principale (e in realtà è anche l’unico) su cui poggia la tesi che la transizione ecologica sia necessaria.  Considerando in maniera specifica l’inquinamento atmosferico:

Nel solo 2018 l’esposizione al particolato fine ha causato circa 417mila morti premature in 41 Paesi europei, di cui circa 50mila solo in Italia. Ben la metà dei decessi positivi al Covid19 nel 2020.

Questa è una vecchia e rodata strategia: imporre una tesi all’opinione pubblica facendo credere che essa sia già stata accettata da tutti e che non sia perciò più neanche il caso di prendersi la briga di confutare esplicitamente obiezioni e critiche.

La realtà è totalmente diversa e quanto viene affermato nel dossier di Legambiente, che non solo è criticabile per quanto riguarda le conclusioni che vengono tratte, va respinto in toto. L’unico argomento addotto a sostegno della tesi secondo cui la transizione ecologica sia indispensabile – i terribili danni alla salute che l’inquinamento atmosferico urbano causerebbe – è totalmente privo di fondamento.

Per tre ordini di motivi:

  1. Morti premature, ma di quanto?
    Va preso atto del fatto che Legambiente questa volta ha completamente rinunciato a parlare di “morti da inquinamento”, come spesso ha fatto in passato, per utilizzare invece il tecnicamente più sensato “morti premature”. Correttamente, perché il concetto di “morto da inquinamento” è totalmente inconsistente e insostenibile nell’ambito qui considerato.
    Un “morto da inquinamento” è infatti una persona che muore proprio a causa dell’inquinamento, come un’altra può morire a causa di un incidente stradale.
    I morti per inquinamento atmosferico urbano, però, in Italia non ci sono, forse non ci sono mai stati. Nessuno ne potrebbe indicare uno fra le persone a lui note.
    Le “morti premature” sono invece persone che sulla base di analisi statistiche, in particolare studi epidemiologici, hanno visto la loro vita ridotta di una certa quantità di tempo.
    Legambiente omette però di dirci di quanto! Perché una morte prematura di 10 anni è una cosa, una morte prematura di 1 settimana, tutt’altro! Legambiente non lo fa, dimostrando ancora una volta di puntare alla manipolazione dell’opinione pubblica, invece che all’informazione e alla sensibilizzazione su basi scientifiche.
  2. Inadeguatezza matematica dei modelli epidemiologici
    Tutti i numeri che vengono forniti per le cosiddette morti premature non sono il risultato di misure (come lo è invece per esempio il conteggio dei morti per incidenti stradali), ma di studi epidemiologici.
    Gli studi epidemiologici sono analisi matematiche attraverso cui si cerca di valutare quantitativamente la correlazione fra i fattori di interesse (in questo caso le concentrazioni degli inquinanti atmosferici) ed una determinata grandezza osservabile (in questo caso il numero dei decessi o gli accessi in ospedale).
    Però la grandezza osservabile che viene monitorata in questo caso dipende anche da una ulteriore miriade di fattori in gran parte non quantificabili con esattezza, né nella loro tipologia né nel loro effetto. Ogni modello vede l’introduzione di parametri aggiuntivi, postulati sensati a priori sulla base di considerazioni esterne al modello stesso, al fine di tenere conto di tali fattori.
    Di fatto ogni gruppo utilizza modelli e parametri diversi (sia come tipologia che come specifico valore numerico), cosa che produce inevitabilmente risultati diversi ogni volta: di fatto si stratta di stime basate su ipotesi.
    Il fatto che i risultati forniti dai modelli non solo divergano, ma divergano enormemente (anche di più ordini di grandezza) è solo la dimostrazione che tali parametri arbitrari pesano più del fattore monitorato (le concentrazioni degli inquinanti).
  3. Inadeguatezza epistemologica dei modelli epidemiologici
    Noi vorremmo sottolineare che i modelli epidemiologici sono, in questo caso, inadeguati per motivi ancora più di principio, e lo sarebbero anche se i parametri di cui sopra fossero noti con precisione.
    Il motivo è che tale approccio considera solo l’associazione fra le concentrazioni di inquinanti e la comparsa e il decorso di patologie, mentre trascura completamente il fatto che l’eliminazione totale dell’inquinamento atmosferico urbano comporterebbe necessariamente modifiche nelle condizioni di vita dei cittadini tali da incidere a loro volta in modo drastico sulla qualità della vita e sulla salute.
    Nei modelli epidemiologici il riferimento è un mondo ipotetico e del tutto virtuale senza inquinamento atmosferico urbano, che non solo non esiste, ma che neanche potrebbe esistere. Perché per azzerare l’inquinamento atmosferico urbano occorrerebbe eliminare tutte le sue fonti: trasporti, riscaldamenti, industrie, allevamenti intensivi, etc… Insomma bisognerebbe azzerare l’urbe, radere al suolo la città, renderla disabitata. E’ evidente che un mondo in cui tali cose non fossero presenti sarebbe totalmente diverso da quello reale in cui viviamo, ben al di là dell’assenza di inquinamento!
    Non è neanche possibile postulare come termine di confronto un mondo in cui si siano trovate alternative valide alle fonti di inquinanti: trasporti e riscaldamenti che non emettono nessun inquinante, approvvigionamento energetico totalmente coperto da fonti completamente non inquinanti, etc… Ciò perché, ammesso che tali cose possano diventare realtà, allo stato attuale esse avrebbero dei costi tali da alterare in maniera totale le condizioni di vita dei cittadini, perché una grande parte delle risorse prodotte dovrebbero venire dirottate verso tali infrastrutture “sostenibili” e rimarrebbe poco, se non pochissimo, per tutto il resto. Di certo molto meno di quanto si investe oggi nel settore pubblico (es sanità, educazione, ecc)

Facciamo un esempio. Un conto è confrontare la realtà oggettiva con una realtà ipotetica in cui nessuno fuma e che per il resto potrebbe essere identica a quella in cui viviamo Un conto confrontarla con un mondo che non potrebbe comunque mai esistere per una questione strutturale. Nel secondo caso il confronto è insensato a priori.
Per fare un esempio ancora più intuitivo, si considerino le morti sul lavoro. L’affermazione secondo cui smettere tutti di lavorare sarebbe utile alla salute perché si azzererebbero le morti sul lavoro sarebbe corretta a livello matematico, sarebbe però del tutto insensata con riferimento al mondo reale.
Non si capisce come l’azzeramento del trasporto privato e la limitazione della mobilità personale possano portare ad una diminuzione significativa dell’inquinamento quando a fatica oggi rappresenta circa il 10% delle emissioni. Una forte limitazione colpirebbe di sicuro i ceti meno abbienti, ma non sarà mai azzerata perché ci sarà sempre qualcuno in grado di pagare per inquinare. Le diseguaglianze aumenteranno, il provvedimento è classista oltre ogni immaginazione.

Accertato che l’argomento, l’unico argomento, utilizzato per giustificare le misure richieste nel dossier è totalmente inconsistente, la presunta emergenza ambientale decade come unico criterio legittimo di valutazione e le misure suggerite dal Legambiente dovranno invece venire valutate sulla base degli effetti che esse avrebbero sull’economia e la società, come si fa per ogni altra normale regolamentazione proposta.

Il punto è che si tratta di misure assolutamente onerose economicamente, terribilmente onerose, che non potrebbero che avere un grave effetto depressivo su una economia già in affanno a causa del Covid e di tutti i problemi che già da prima del Covid esistevano in Italia. Con il conseguente aumento di disoccupazione e povertà, già ora troppo alte.

Pretendere di dimezzare le concentrazioni di polveri sottili, per uniformarsi alle soglie proposte dall’OMS non si sa bene sulla base di quale criterio, richiederebbe sforzi enormi e del tutto privi di senso, considerando che oggi le concentrazioni che si osservano sarebbero state un sogno fino ad un paio di decenni fa.
Il tutto senza avere alcuna garanzia che il risultato sia raggiungibile in larghe parti del paese (a cominciare dalla pianura padana), visto che le uniche città che vengono indicate come esempi positivi sono città marinare, che godono di condizioni ambientali totalmente diverse da quelle presenti in una città come Milano che si trova all’interno di una pianura chiusa da catene montuose su tutti i lati salvo uno.

Parlare di “azzeramento dell’inquinamento” è un non senso che già da solo attesta la totale mancanza di realismo del documento.

Mettere in atto quanto richiesto da Legambiente vorrebbe dire dare un grosso contributo alla deindustrializzazione del paese (a cominciare dalle sue realtà più importanti quali per esempio Milano e tutto il comparto automobilistico), senza che venga offerta alcuna alternava valida in grado di compensarne le ripercussioni economiche e sociali.
A supporto della nostra tesi citiamo un articolo de Il Sole 24 Ore del 23 luglio 2021, intitolato La banalità della transizione ecologica nell’automotive.

Un’auto elettrica ha un quinto delle componenti mobili di un’auto a combustione interna, questo significa un minor fabbisogno di manodopera sia per la produzione che per la manutenzione.Di conseguenza, gli outlook di settore prevedono che la riconversione dell’industria italiana della componentistica per auto, che impiega circa 600mila persone, potrebbe costare il posto di lavoro a due terzi degli addetti

Il Sole 24 Ore

Che si tiri in ballo la lotta alle disuguaglianze collegandola all’obiettivo di azzerare l’inquinamento è quindi una beffa, visto che tutte le politiche proposte avrebbero l’effetto esattamente opposto, ovvero aumentare le disuguaglianze, fra i pochi in grado di fare fronte agli obblighi sempre più stringenti e tutti gli altri, sempre più marginalizzati.

Le politiche richieste da Legambiente non corrispondono affatto agli interessi dell’Italia e degli Italiani e sarebbe ora che la politica iniziasse a guardare in maniera più critica le questue che arrivano da associazioni che si spacciano per paladine dell’ambiente e che invece promuovono ben precise agende politiche ideate all’estero, volte apparentemente a favorire interessi di soggetti che non si palesano mai ma che sicuramente non coincidono con la maggioranza dei cittadini italiani.

Questo documento è un esempio di ambientalismo di facciata, velleitario e classista. Un esempio di quello che non andrebbe fatto, se si ha veramente a cuore l’ambiente e il benessere dei cittadini!

Rimane una domanda: fondamentale Legambiente detta la linea alle forze politiche che sostengono la giunta Sala, o la politica del new green deal detta le esternazioni e le proposte di Legambiente?
Qualsiasi sia la risposta, è disgustosa e mette in evidenza che l’azione di Legambiente è strettamente politica, forse più politica di quella di Sala che si trova a mediare tra diversi interessi e a quanto pare ci è riuscito inventandosi una “favola” che fa andare a braccetto la speculazione edilizia, le archistar, l’ambientalismo militante di sinistra e l’associazionismo che raccoglie le briciole e campa di slogan dettati dall’alto. In tutto questo poi si inseriscono minoranze rumorose che forse hanno, ce lo auguriamo, un sincero slancio ideologico.

Resta poi da rimettere i piedi per terra e impedire che Milano venga consegnata ad una ideologia politica classista, ispirata al collettivismo cinese dove lo stato ti dice come devi vivere, come devi muoverti, cosa devi mangiare, quanto ti puoi allontanare da casa. Uno stile di vita che tende a privarti delle proprietà: lo sharing, il cohousing, il coworking e ti impone l’ambito in cui devi vivere: shopping locale, più caro dei discount, mobilità ridotta come agli inizi del secolo scorso e tasse che serviranno a pagare i privilegi dei più abbienti che vivranno in una zona amena, no carbon..
Salvo che tu abbia una ricchezza tale che ti consenta di scavallare tutte queste limitazioni.

Autore

  • Laureato in Economia e commercio, giornalista pubblicista, motociclista da sempre. Dopo tanti anni di lavoro nel settore automotive in cui mi sono occupato di ricerche di mercato, giornalismo, retail e gestione di uffici stampa per diverse grandi realtà del settore, ora mi occupo di Cybersecurity e Cloud Computing. La mia passione per la politica, l'attività svolta con muovermi (e anche in precedenza) e l'amore incondizionato per Milano, mi hanno fornito lo stimolo per una candidatura alle prossime comunali nella lista di Fratelli d'Italia con l'impegno di contribuire al miglioramento della viabilità e garantire libertà che l'attuale giunta sta negando.

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